Da oggi la rubrica ‘Medicina e Salute’ del dott De Luca oltre alla versione del cartaceo approda anche sul nostro sito… buona lettura!
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) definisce l’osteoporosi come “un’affezione sistemica dello scheletro” caratterizzata dalla riduzione della massa ossea e dal deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità scheletrica e della suscettibilità alle fratture.
Vengono definite “primitive” le forme di osteoporosi che compaiono dopo la menopausa (postmenopausale) o comunque con l’avanzare dell’età (senile) e “secondarie” quelle determinate da condizioni patologiche e farmaci. Attualmente l’osteoporosi è considerata la più comune tra le malattie metaboliche dello scheletro interessando oltre 75 milioni di persone in Europa, Stati Uniti e Giappone.
Nel 1994 la WHO ha introdotto una definizione di malattia basata su criteri densitometrici, poiché tale metodica consente di stimare la prevalenza di malattia in rapporto ai valori di Bone Mass Density (BMD) anziché al numero di fratture, che rappresentano una complicanza frequente ma non obbligatoria dell’osteoporosi. Recentemente, la Fondazione Internazionale per l’Osteoporosi (IOF) ha raccomandato che la misurazione della massa ossea venga effettuata mediante mineralometria ossea (MOC DEXA) a livello del femore e che il T-score venga calcolato utilizzando come popolazione di riferimento quella del “National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES III)”.
Linee guida per la terapia dell’osteoporosi
I provvedimenti non farmacologici (dieta, attività fisica) o l’eliminazione di fattori di rischio modificabili (fumo, igiene di vita) possono essere raccomandati a tutti in assenza di controindicazioni.
E’ ormai bagaglio culturale del nostro tempo che la buona salute delle nostre “povere ossa” dipende da giusti livelli circolanti di calcio. Il calcio rappresenta il maggiore componente minerale dell’osso e per un’adeguata mineralizzazione è necessario che l’introito alimentare e l’assorbimento intestinale siano adeguati.
Un’alimentazione equilibrata nel contenuto di calcio è quella che si basa sull’assunzione di formaggi freschi e stagionati, latte, yogurt, gelato, legumi o pesce come molluschi e crostacei, uova e frutta secca. Il fabbisogno quotidiano di calcio in mg varia per epoca di sviluppo e per età (Tabella 1).
Tabella 1 – Fabbisogno giornaliero di calcio per ciclo vitale ed età
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Ciclo vitale Età mg
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Neonati fino a 6 mesi 400
6-12 mesi 600 Bambini 1-5 anni 800 6-10 anni 800-1200 Adolescenti 11-24 anni 1200-1500 Donne pre-menopausa 20-50 anni 1000 gravidanza-allattamento 1500 Donne in menopausa in terapia ormonale 1000 senza terapia ormonale 1500 Uomini 25-65 anni 1000 Donne e Uomini > 65 anni 1500
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E’ importante sottolineare, però, che come la scarsa assunzione di calcio è altrettanto nociva l’iperassunzione: l’eccesso di calcio nel sangue, definito ipercalcemia, può determinare un deposito nel rene, nei vasi arteriosi e nei tessuti in genere e, causare disturbi della contrattilità muscolare o della propagazione dell’impulso elettrico.
Livelli ottimali di calcio non dipendono esclusivamente dalla giusta assunzione alimentare, ma da altri fattori che ne regolano il fine metabolismo come l’ormone paratiroideo (PTH), la vitamina D3 e la calcitonina.
Molti dati in letteratura dimostrano che un apporto ottimale di calcio riduce la perdita di tessuto osseo e rallenta il turnover scheletrico.
I risultati della NHANES hanno chiaramente dimostrato che la media dell’apporto giornaliero di calcio è attualmente ben al di sotto di quella raccomandata (Tabella 1). I prodotti caseari (latte, formaggio, yogurt) e altri cibi quali cereali, focacce, succhi e cracker sono una buona fonte di calcio. Comunque, molti pazienti necessitano di un’ulteriore supplementazione di calcio che dovrebbe essere somministrata inizialmente a dosaggio uguale o inferiore a 600 mg. Le formulazioni di calcio carbonato dovrebbero essere somministrate durante i pasti, dato che l’aumento dell’acidità gastrica è fondamentale per la loro solubilità e quindi per l’assorbimento. Le supplementazioni di calcio citrato, invece, possono essere somministrate in ogni momento del giorno. Sebbene gli effetti collaterali di una supplementazione calcica siano trascurabili, nei soggetti con anamnesi positiva per calcolosi renale dovrebbe essere effettuata una determinazione della calciuria delle 24 ore prima di iniziare la supplementazione. Importante è anche la concomitante somministrazione di vitamina D.
Determinante per la stabilità metabolica dell’osso è il movimento. L’inattività fisica dovuta per esempio a paralisi o a prolungata permanenza a letto, determina una significativa perdita di tessuto osseo. La marcia è l’attività fisica ideale per individui affetti da osteoporosi. L’attività fisica deve escludere movimenti tali da esercitare un’eccessiva pressione sulle vertebre e aumentare il rischio di frattura. Inoltre, l’attività fisica ha un effetto benefico anche sulla funzione neuro-muscolare: l’esercizio può migliorare la coordinazione, l’equilibrio, la forza, riducendo così la probabilità di caduta e la gravità delle conseguenze ad essa legate.
Il fumo di sigaretta ha un effetto negativo sulla massa ossea per un’azione tossica diretta sugli osteoblasti o per azione indiretta sul metabolismo degli estrogeni. Sebbene le donne fumatrici abbiano spesso livelli di estrogeni compresi entro il range di normalità, esse presentano anomalie del metabolismo degli estrogeni, che portano alla formazione di numerosi metaboliti poco o per nulla attivi. In genere nelle donne fumatrici la menopausa è anticipata di 1-2 anni rispetto a quelle che non fumano.
Un eccessivo introito di alcolici è associato a una bassa massa ossea. L’effetto dell’alcol è principalmente diretto contro gli osteoblasti, di cui riduce il numero e l’attività. L’effetto diretto dell’alcol sullo scheletro si somma all’effetto negativo di altri fattori associati, quali l’iponutrizione, il diminuito introito alimentare di calcio, la ridotta attività fisica e i bassi livelli di vitamina D. Infine, un gran numero di farmaci impiegati nella comune pratica clinica può avere effetti negativi sul tessuto scheletrico: cortisonici, ormoni tiroidei a dosi soppressive, eparina, anticoagulanti, anticonvulsivanti, chemioterapici, uso cronico di fosfato associato ad antiacidi.
L’utilizzo di farmaci, sia per la prevenzione sia per la terapia, è condizionato dal rapporto rischio/beneficio, la cui valutazione è sempre complessa sul piano individuale, ed è spesso condizionata, quando si disegnano le strategie per interi segmenti di popolazione, da aspetti di farmaco-economia come il “Number Needed to Treat” (NNT). Rischi superiori al 20-30% a 10 anni rappresentano una soglia di intervento socialmente inconfutabili. Condizioni di rischio di questa entità sono quelle associate a precedenti fratture osteoporotiche ed alla terapia cortisonica. In questi due ultimi casi il rischio di frattura è così elevato che la decisione di avviare una terapia farmacologica può prescindere dai valori densitometrici. La definizione della soglia di intervento farmacologico in prevenzione primaria risulta più complessa. Nella pratica clinica il criterio diagnostico della WHO, T-score < -2.5, è diventato la soglia di intervento terapeutico; in realtà, sebbene la BMD rappresenti un importante determinante della resistenza scheletrica, tanto da essere considerata idonea per la diagnosi di osteoporosi (soglia diagnostica), al momento non esistono sufficienti dati per identificare una soglia di trattamento basata solo sui valori densitometrici.
I bifosfonati al momento disponibili sono l’etidronato, l’alendronato e il risedronato (per modalità di somministrazione e posologia, si raccomanda di consultare il proprio medico).
L’alendronato e il risedronato sono tra i farmaci di scelta nelle donne in menopausa con osteoporosi ed elevato rischio di frattura; entrambi si sono confermati efficaci anche nel ridurre le fratture vertebrali nell’osteoporosi cortisonica. Questi farmaci modificano specificatamente la funzione osteoclastica e riducono il numero degli osteoclasti, in parte inducendo l’apoptosi. Sono ritenuti a lungo nel tessuto osseo e per questo potrebbero avere un effetto prolungato.
Il ranelato di stronzio, disponibile dal settembre 2005 in Italia, aumenta la formazione ossea riducendo il riassorbimento. E’ indicato nelle donne con più di 75 anni con aumentato rischio di frattura di femore.
La somministrazione di estrogeni in donne postmenopausali è in grado non solo di prevenire la perdita ossea postmenopausale in donne con ridotta massa ossea e con menopausa precoce, ma anche di indurre un aumento della massa ossea. Tale trattamento, definito come terapia ormonale sostitutiva (TOS), comprende vari regimi, che si diversificano per composto utilizzato (estrogeni coniugati, estradiolo, composti sintetici), via di somministrazione e associazione o meno con progestinici. La TOS, perlomeno in donne con un’età relativamente avanzata, aumenta significativamente il rischio di carcinoma della mammella (+ 0.08%/anno di trattamento), ictus (+ 0.08%/anno di trattamento), cardiopatia ischemica (+ 0.07%/anno di trattamento) ed eventi tromboembolici, con un rapporto rischio/beneficio sfavorevole. Pertanto l’indicazione e l’uso di tali farmaci, deve avvenire necessariamente sotto stretto controllo di uno specialista.
Un altro gruppo di farmaci è rappresentato dai SERM (Selective estrogen receptor modulator). L’unico SERM attualmente approvato per prevenzione e trattamento dell’osteoporosi è il raloxifene. Il raloxifene previene la perdita ossea dei primi anni dopo la menopausa e determina un incremento del 2-3% della densità ossea in donne con osteoporosi. Il raloxifene, al pari della TOS si associa ad aumentato rischio di eventi tromboembolici, per cui non è consigliabile in pazienti che hanno già lamentato o ad alto rischio di trombosi venosa.
KEY MESSAGE
Lo studio epidemiologico [ESOPO] per determinare la prevalenza dell’osteoporosi in Italia, nonché identificare fattori clinici e di stile di vita significativamente associati ad essa, ha messo in evidenza che la malattia, anche nel nostro Paese, è una vera e propria epidemia. Si stima che ci siano attualmente, in Italia, circa 3.5 milioni di donne affette da osteoporosi, ma, poiché nei prossimi anni la percentuale della popolazione italiana al di sopra del 65 anni aumenterà del 25%, ci dovremmo attendere un incremento proporzionale dell’incidenza di osteoporosi.
Le fratture osteoporotiche rappresentano una delle più comuni cause di disabilità ed esse sono destinate a raddoppiare nei prossimi 50 anni se non verranno adottate azioni efficaci di prevenzione e terapia per combattere questa “epidemia silenziosa”.
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