Una giornata di una donna cagnanese nel passato
La donna cagnanese di un tempo era solita destarsi dal sonno ancora prima del sorgere dell’alba. La sua faticosa giornata poteva iniziare dalle ore 4/5 del mattino e finire alle ore più tarde della notte, poiché era la prima ad alzarsi e l’ultima ad andare a dormire. Madre di numerosi figli doveva innanzi tutto affaccendarsi nelle mansioni domestiche, preparare la polenta per la colazione e i pochi fichi secchi da portare in campagna, dato che il pane era caro e non sempre era facile raggiungere il mulino per macinare il grano e poi metterlo nella “cruedda”, un contenitore di paglia rivestito da pelle di pecora. Tutte le giornate, salvo quelle in cui pioveva, la donna, specialmente la moglie di un pastore o di un campagnolo, doveva provvedere alla raccolta della legna, all’approvvigionamento dell’acqua presso il pozzo fuori paese, alla mietitura, alla raccolta delle mandorle e delle olive e a tutte le altre faccende concernenti il lavoro di campagna. Inoltre, quando un figlio era troppo piccolo per frequentare la scuola (si andava fino all’età massima di 7/10 anni) o per andare a lavorare, veniva lasciato in casa alle sorelle maggiori. Il neonato, invece, avvolto “nda li pannucc”, seguiva la madre in campagna.
Una volta rincasata, dopo aver svolto i suoi doveri diurni, la donna doveva cucinare e se possibile preparare il pane. La farina si metteva in un contenitore detto “fazzatora”, in seguito si aggiungeva il sale, le patate, il lievito detto “lu criscent” ed infine l’acqua. Dopo aver ammassato il tutto, si aspettava che la massa fosse lievitata per poi cuocerla nel forno. “Quando a tavola si mangiava”, ricordano alcune signore anziane di Cagnano, “il vino c’era solo per chi poteva permetterselo e il caffè si prendeva soltanto quando una persona si sentiva poco bene”. In più, la donna non doveva solamente occuparsi di prendere l’acqua al pozzo, lavare i vestiti con la cenere o con il sapone fatto in casa e poi buttare via l’acqua sporca, ma doveva anche saper cucire tutti i capi che lei, il marito e i figli dovevano indossare. La sera si lavorava la mantella all’uncinetto, alla luce “ dellu lum”.
L’abbigliamento tipico e le feste
Solitamente, la donna cagnanese vestiva con una lunga camicia infilata all’altezza della vita in una “gunnedda longa”, rattoppata quando necessario. Portava in testa un fazzoletto piegato sotto il mento quando usciva a fare servizi per il paese, o “la scolla” un fazzoletto piegato con il nodo dietro il capo, utilizzato per i servizi domestici e per la campagna. La donna non usciva quasi mai a passeggio e quando lo faceva era sicuramente giorno di festa come la Madonna delle Grazie, San Michele e San Cataldo. Proprio in occasione di quest’ultima festività, le ragazze cagnanesi si facevano cucire un elegante vestito che poi avrebbero messo per uscire il 10 di maggio.
Durante queste piacevoli ricorrenze le donne preparavano “li scartllat, li crust’l, li pizzaredd e li turc’nedd”. I ragazzi uscivano molto più frequentemente rispetto alle ragazze, che si accontentavano invece di ascoltare un po’ di musica al grammofono e di ballare in casa in occasione di qualche compleanno.
L’amore ai tempi delle ambasciate e dei rapimenti
Quando poi un giovanotto si innamorava di una giovane che ricambiava l’affetto mostratogli, non poteva andare a trovarla perché dovevano essere prima i suoi parenti a conoscere la famiglia di lei. Inizialmente l’incontro tra i due avveniva solo attraverso lo sguardo, nel momento in cui la ragazza era sul balcone di casa sua e il giovane giù in strada. Quando poi potevano finalmente uscire insieme a passeggio per il paese erano seguiti “dall’ambasciata”, ovvero dai loro parenti.
Nel caso in cui i genitori non volevano l’unione dei figli e i giovani innamorati non desideravano rinunciare l’uno all’altro, decidevano di fuggire da casa e di sposarsi in chiesa alle 05:00 del mattino, così che nessuno sapesse nulla. In ogni caso, matrimonio accettato o meno, la donna cagnanese non aspettava altro che dedicarsi alla “robba esposta”, tutta la sua dote veniva esposta in casa e ammirata dalla gente del paese, una decina di giorni prima delle nozze. A volte, però, poteva capitare che un giovane s’innamorasse di una giovinetta che non ricambiava il suo affetto, questa allora veniva rapita dagli amici del ragazzo che lo aiutavano nell’impresa e la portavano nel bosco. Spesso quando poi la ragazza ritornava al paese, era obbligata a sposarsi con il “mascalzone”, perché evidentemente nessun uomo l’avrebbe più desiderata.
Una figura chiave, seppur discriminata
Nel passato la donna era soggetta a soffrire molte ingiustizie a causa delle disuguaglianze rispetto all’uomo e sicuramente conduceva una vita molto più laboriosa e dura di quella di oggi. Sapeva fare tutto quello che una donna doveva saper fare, e allo stesso tempo era di buon animo, severa e rigida quando necessario e sapeva tenere unita la propria famiglia.